Il rapporto tra birra artigianale italiana e grande distribuzione è da sempre oggetto di dibattito tra appassionati e addetti ai lavori. Discussione che si fa via via più serrata con il passare del tempo: da un lato c’è chi vede questo canale come importante, addirittura imprescindibile se si guarda al futuro, dall’altro invece c’è chi sostiene che i due mondi appartengono a galassie differenti e per diverse ragioni non dovrebbero mai incontrarsi.

Malto Gradimento, lo diciamo subito, è favorevole a un avvicinamento tra craft e GDO per motivi molto semplici: attraverso i supermercati, ogni italiano può diventare un possibile acquirente di birra artigianale e può così aiutare ad allargare quella nicchia di mercato stimata tra il 3 e il 5%. Inoltre una birra semplice ma originale e ben fatta – come le craft solitamente disponibili in questo genere di mercato – può servire come “porta d’ingresso” per una clientela che conosce poco il mondo artigianale o, peggio, si è sempre tenuto alla larga per i motivi più disparati (costi, pregiudizi, scarsa conoscenza…). Espressa questa presa di posizione che giudichiamo doverosa, entriamo nel vivo di questo articolo che racconta l’esperienza di un birrificio varesotto, The Wall, divenuto fornitore di un grande gruppo nazionale come CRAI, 6 miliardi di fatturato e 18mila dipendenti in tutta Italia (fonte: Wikipedia). Ne parliamo con Stefano Barone, fondatore e principale dirigente del birrificio che ha sede a Venegono Inferiore.


Stefano, come è nato il rapporto tra The Wall e un colosso come CRAI?

«Durante il primo lockdown, con i pub completamente chiusi, abbiamo iniziato a pensare a utilizzare altri canali per vendere la nostra birra. Una persona che conosce bene entrambe le realtà, The Wall e CRAI, ci ha messo in contatto e dopo aver valutato bene l’ipotesi abbiamo deciso di seguire anche questa strada».

Quanto tempo è servito per dare il via alla collaborazione? 
«Circa sei mesi: il primo incontro è avvenuto a dicembre 2020, noi abbiamo iniziato a consegnare le prime birre a maggio di quest’anno. Le prime di una lunga serie, perché i volumi sono diventati presto importanti».

Cose prevede il contratto, per quanto riguarda le tipologie di birra?
«Siamo una marca privata: il nome di The Wall non compare se non sul retro della bottiglia come stabilimento di produzione. Le ricette sono studiate appositamente per CRAI e sono differenti rispetto alle nostre linee dedicate a pub e negozi specializzati, quelle per intenderci di cui scrivete su Malto Gradimento. Per CRAI produciamo quattro tipologie: una, denominata lager che è una helles, una bock, una IPA e una weiss. Nessuna di queste è in commercio al di fuori dei punti vendita del gruppo».

Quella di produrre per un grande marchio è una strada percorribile per un birrificio artigianale italiano?
«Sì, a patto di essere strutturato per un impegno simile. Ciò significa avere un’adeguata attrezzatura, una programmazione che tenga conto di un cliente così grande, la capacità di produrre in caso di necessità, la possibilità di fare magazzino e via dicendo. CRAI ha circa 1.500 negozi, ognuno è libero di tenere le nostre referenze ma oltre la metà ha aderito, quindi i volumi richiesti sono importanti. Aggiungo una cosa: tra chi è favorevole a questo genere di accordi c’è anche Unionbirrai, la nostra associazione di categoria. Grazie a UB, a gennaio, parteciperemo alla fiera “Marca” di Bologna dove l’obiettivo è proprio quello di stringere accordi da marchio privato. Saremo 10 birrifici artigianali: oltre a noi, della zona, ci sarà anche Serra Storta».

Di che numeri parliamo? E come incidono sulla produzione complessiva di The Wall?
«Tra maggio e dicembre 2021, su un arco temporale praticamente di sei mesi, abbiamo consegnato qualcosa più di 350 ettolitri. Quest’anno la nostra produzione totale è stata di circa 4mila ettolitri tra birre di The Wall e birre brassate conto terzi quindi la GDO ha inciso intorno al 9%. A regime CRAI potrebbe rappresentare circa il 15-18% della nostra produzione totale».

Chi critica questo tipo di accordi, sostiene che la catena del freddo non venga rispettata e che la GDO sia poco avvezza a trattare la birra artigianale, spesso maltrattandola. Voi avete accordi particolari?
«Le birre non entrano nella classica “catena del freddo”, ma per esperienza vi dico che sarebbe complicatissimo rispettarla da cima a fondo. Vale per la GDO ma anche per molti soggetti dalle dimensioni più piccole. Con CRAI abbiamo un accordo che garantisce lo stoccaggio in magazzini adeguati e l’arrivo sullo scaffale a piccole quantità per volta. Conoscendo questa situazione, il nostro birraio Daniele Martinello ha lavorato a ricette e modalità di produzione che consentano la miglior conservazione possibile, pur trattandosi di birre non pastorizzate e a tutti gli effetti artigianali».

Vi siete dati una regola, prima di entrare nella GDO?
«Abbiamo scelto di diversificare la produzione e la distribuzione della birra, ben sapendo che ogni ramo ha bisogno delle sue attenzioni. Vogliamo un prodotto di qualità, che risponda alle aspettative di chi sceglie The Wall al pub e a quelle di chi compra quelle bottiglie al supermercato. Lasciatemi concludere con un moto d’orgoglio: nell’ultimo periodo abbiamo vinto un oro a Birra dell’Anno con la Mrs. White e uno al Brussels Beer Challenge con la John Hops. Stiamo rispettando la nostra volontà di fare bene su ogni fronte.

Segui la pagina di MALTO GRADIMENTO su Facebook 
Segui il profilo di MALTO GRADIMENTO su Instagram
Iscriviti al canale di MALTO GRADIMENTO su Telegram