(franz) Meno uno: con la nona puntata, arriviamo al penultimo step del viaggio “autobirrografico”  che il nostro “Ale Div” ha scritto in tempo di pandemia per riassumere trent’anni (?) di viaggi, incontri, visite, degustazioni alla ricerca delle proprie birre predilette. Dopo aver toccato anche la Danimarca di Mikkeller, è tempo di fare di nuovo rotta verso il Belpaese e verso quella Piozzo che tutti noi, direttamente o indirettamente, abbiamo conosciuto. C’entra, ovviamente, Teo Musso e c’entra la sua Birra Baladin di cui spesso abbiamo scritto su Malto Gradimento.

Episodio 9 di 10 – Baladin

Nel 1989 nasceva il “www”, grazie al genio di Tim Berners Lee che inventò un protocollo per trasmettere i dati digitali attraverso la rete internet. Nel 1989 i dischi erano in vinile e se volevi una copia di un misconosciuto gruppo di Seattle, pubblicato da una misconosciuta casa discografica di Seattle, dovevi aspettare un sacco di tempo. Nel caso di “Bleach” dei Nirvana, la mia attesa durò più di un anno, forse anche quasi due. E inizialmente, non mi piacque neanche un po’…

La mia scoperta della birra artigianale italiana è andata allo stesso modo, più o meno. Dopo qualche sporadico e ingenuo contatto con la vera birra, tutto è rimasto a covare sotto cenere per parecchio tempo: mancavano i locali, mancava la stampa, mancava la conoscenza e, last but not least, mancavano i produttori! Poi, qualcosa, iniziò lentamente a uscire allo scoperto, fino a esplodere in una vera e propria rivoluzione! E’ stato come assistere alla nascita della vita su questo pianeta o, più semplicemente, è successo come quando dal nord ovest degli Stati Uniti piombarono sulla scena musicale i vari Pearl Jam, Soundgarden, Alice In Chains, Mudhoney, Screaming Trees e, ovviamente, i Nirvana. Il movimento è stato identico, spontaneo, globale e spinto dal basso, dai fans, senza che l’industria potesse influenzare le scelte delle persone. Almeno inizialmente, perché così come per il (cosiddetto) grunge, anche per il mondo delle birre artigianali è arrivata la fregatura e il controllo del Big Business. Fortunatamente, le birre artigianali hanno avuto più resilienza delle band di Seattle e ancora oggi possono combattere la propria battaglia di civiltà!

Il mio Eddie Vedder delle birre arriva anche lui dal Nord Ovest, ma di casa nostra.

Erano i primi anni 2000, passeggiavo per le vie di Stresa quando mi cadde l’occhio su una bottiglia di birra da 75cl esposta in un negozio di leccornie. Accanto alla birra c’erano due bicchieri, molto simili a quelli del vino, ma con la differenza che i bordi superiori si aprivano leggermente verso l’esterno. Entrai e chiesi maggiori informazioni alla titolare la quale mi spiegò che si trattava di una birra italiana, prodotta artigianalmente in Piemonte, dedicata alla degustazione e all’abbinamento con il cibo, il cui mastro birraio, nonché titolare del birrificio, selezionava personalmente i negozi che sarebbero stati degni di poter vendere le sue creazioni. Degni, sì, perché le Baladin erano un prodotto elitario, non per tutti. Il negozio di Stresa, che si trova ancora oggi nel budello pedonale, non era né una birreria, né un’enoteca: vendeva cibo di qualità, selezionato, a km 0.

Come ha raccontato lo stesso Teo Musso a Repubblica, a marzo di quest’anno: «La nostra rivoluzione, nel primo decennio fino al 2006, è stata quella di produrre una birra identitaria in una bottiglia importante, capace di andare in tavola per creare abbinamenti con il cibo, innalzandone la dignità e portandola alla posizione in cui doveva essere».
Alla fine tra la birra fatta con grano khorasan, seguendo le indicazioni di un’antica ricetta egiziana, e quella con il nome impronunciabile, scelsi la Xyauyù, insieme al calice per la degustazione, ideato progettato dallo stesso Teo Musso (il famoso Teku, in collaborazione con Kuaska ndr). Al primo assaggio, così come successe con il disco d’esordio dei Nirvana, rimasi tiepido, per non dire deluso. L’aspettativa aveva raggiunto un tale hype che mi immaginavo chissà che cosa e invece, era solo birra. Benché avessi già avuto modo di approcciarmi al mondo artigianale diverse volte, mi mancava ancora tutta una cultura, ma direi anche il semplice alfabeto base, per capire le differenze tra qualità e… non qualità…

Nel mio vecchio pub, mi è capitato spesso di sentirmi dire dai clienti: “scegli tu, una chiara qualsiasi, non sono un esperto”. In verità tutti possiamo diventare esperti, se solo memorizziamo un bagaglio di profumi e dove si posizionano i sapori sulla lingua. È solo questione di tecnica perché tutti siamo stati dotati di naso e bocca, basta preparare e mantenere allenata questa tecnica. Quando assaggiai per la prima volta la Xyauyù, non possedevo ancora questa tecnica.

Fortunatamente, negli anni successivi, Baladin iniziò la conquista del mondo, abbandonando il circuito delle elites gastronomiche per approdare anche sugli scaffali dei negozi specializzati. Nel mentre, il birrificio cresce, sposta la produzione e inizia a coltivare in proprio sia i grani che i luppoli. Lasciamo spazio sempre alle parole di Teo Musso: «Intervenendo anche sulla filiera, oggi coltiviamo trecento ettari e il novanta per cento delle materie prime sono nostre, abbiamo realizzato i primi luppoleti della storia contemporanea e la prima birra tutta italiana, la nostra “Nazionale”».

Ben McFarland ha definito Teo Musso il “Jim Morrison della birra”. In realtà, questa definizione appartiene al sito Identità Golose che l’ha motivata in questo modo: «Musso non ricorda Morrison per l’aspetto estetico e probabilmente canta malissimo, ma come Morrison con i suoi Doors voleva “aprire le porte della percezione” così ha fatto lui. Almeno in merito alla percezione della birra in Italia».

Mi sento di condividerla pienamente. Teo Musso, con pochi altri pionieri, ha iniziato a produrre artigianalmente nel 1996. Un detto americano recita: Rome wasn’t built in a day e anche Piozzo, in provincia di Cuneo, nel cuore delle Langhe, dove da quando ha memoria l’uomo si produce vino, a 20 minuti di strada da Barolo e 15 da Dogliani, in qualche posto nel bel mezzo di niente, anche Piozzo, dicevamo, ha impiegato parecchi anni per estendere il suo impero a tutto il mondo. Oggi Baladin è un brand riconosciuto e affermato, rispettato anche in quelle terre dove la birra scorre nei rubinetti di casa e Teo Musso è uno dei più quotati mastri birrai del pianeta Terra. C’è solo un nome che può competere con lui per perfezione, creatività, divinità, uno spettro benevolo che ha aleggiato su questo percorso alla riscoperta delle origini dell’universo artigianale per tutte le puntate, colui che ha tirato un calcio alle convenzioni e ha dato la scossa al cambiamento epocale che ha vissuto il mondo della birra. Ne ho proprio parlato nella puntata precedente.

Puntate precedenti – 1. L’Agripub di Gallarate – 2. U-Fleku – 3. Hacker Pschorr 1417 – 4. Ayinger und Aktien – 5. La Rebelde di Orso Verde – 6. Conciati come il Belgio – 7. Acido Acida – 8. Il culto di Mikkeller

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