Chi ha avuto la fortuna – e l’anagrafe – di vivere a qualsiasi livello la primissima stagione della birra artigianale italiana, si è sicuramente imbattuto prima o dopo in Bi-Du, un piccolo birrificio che nacque al confine tra Comasco, Varesotto e Canton Ticino e che a suo modo ha scritto pagine di storia nel proprio ambito. Basato un tempo a Rodero e trasferitosi in seguito a Olgiate Comasco, il Bi-Du ha annunciato ieri sulla propria pagina Facebook la fine della propria attività: un colpo al cuore per gli appassionati e per chi, tanti anni fa, si è avvicinato alla birra craft anche grazie alle creazioni del vulcanico birraio Beppe Vento.

A causare lo stop alla produzione sono stati – sempre stando a quanto pubblicato sui social – gli strascichi della pandemia e i costi impennati dall’attuale crisi energetica che hanno tolto al birrificio la necessaria competitività per restare sul mercato. Un rischio che corrono anche tanti altri produttori: non a caso nei giorni scorsi era intervenuta sul tema sia Unionbirrai, la principale associazione cui fanno riferimento i birrifici artigianali italiani, sia il Consorzio della Birra Italiana.

Bi-Du, dicevamo all’inizio, è stato un attore fondamentale di questo mondo: il birrificio venne fondato poco più di vent’anni fa, nel 2002, e che si era andato ad aggiungere alle altre iniziative simili nate sul territorio come il Birrificio Italiano di Agostino Arioli (allora a Lurago Marinone) all’Orso Verde di Cesare Gualdoni a Busto Arsizio (che però non aveva un pub collegato), alla Fabbrica di Saronno oltre al Lambrate, primo grande nome della scena milanese. Basato in un edificio che si trovava a pochi metri dalla frontiera, più o meno in mezzo a un bosco, il Bi-Du era in origine il classico brewpub con la birreria con vista sul piccolo impianto produttivo.

Un luogo nel quale vennero messi in pratica una serie di “accorgimenti” che oggi sembrano scontati e superati ma che allora erano assolute novità, come nuovo e inesplorato era tutto il pianeta della birra “fatta in casa” o comunque al di fuori del circuito industriale. C’erano i riferimenti al territorio (la “Confine” celebrava appunto la posizione del birrificio a pochi metri dalla Svizzera, la “Rodersch” fondeva la località di origine con lo stile koelsch…), c’era qualche gioco di parola per dare i nomi alla birra (ArtigianAle) con anche qualche azzardo successivo (“Feega”, “SuperanAle”). C’era la ricerca di stili poco conosciuti e c’erano anche etichette particolari con l’uso di un carattere ampiamente demodé ma rimasto come una bandiera su tutti i prodotti di Bi-Du.

C’era infine la personalità di Beppe Vento, uno che non si è mai fatto tanti problemi a bollare (anche in pubblico, durante incontri e degustazioni guidate) con epiteti al limite della querela le birre industriali e la loro scarsa qualità. Uno che – con pregi e difetti – ha letteralmente combattuto a favore della birra artigianale come l’abbiamo conosciuta in questi vent’anni: indipendente, di alta qualità, senza compromessi.

Per tutti questi motivi, la chiusura di Bi-Du non può che essere un colpo al cuore per chi vive nella zona e per chi, lo ribadiamo, ha vissuto più o meno consapevolmente la prima metà degli anni Zero nel mondo della birra artigianale. La speranza è che l’esperienza non termini del tutto: “Con l’anno nuovo sentirete ancora parlare di noi e delle nostre amate Birre” scrive il Bi-Du nel suo post. Vedremo se Beppe e soci si tramuteranno in una beer firm o prenderanno altre strade che al momento non conosciamo. Di certo l’ultima frase, “Grazie di cuore per esserci stati!” può tranquillamente essere ribaltata. Ovvero: grazie a Bi-Du di esserci stato.

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