Martedì 17 settembre, nella Sala Montanari di Varese, è stato dedicato un evento a Luigi Ganna, tra i pionieri del ciclismo italiano, vincitore del primo Giro d’Italia della storia, nel 1909 (anno in cui conquistò anche la Milano-Sanremo.

Nel corso della serata (inserita nel programma del primo “Binda Cycling Festival”, manifestazione diffusa dedicata alla cultura del ciclismo e della bicicletta), un gruppo formato da una dozzina di giornalisti si è alternata sul palco per tratteggiare la figura di Ganna, capostipite di una lunga serie di grandi corridori varesotti ma anche imprenditore e dirigente sportivo di successo. Il primo intervento è stato tenuto da Federico Buffa (giusto per non mettere pressione a chi doveva parlare dopo di lui…!), il terz’ultimo è invece stato affidato a… chi ha inventato e gestisce questo blog.

Ma perché parliamo qui di ciclismo e di un grande campione del passato remoto? Perché – per effettuare una variazione sul tema – in Sala Montanari abbiamo fatto un gioco provando a capire “Che birra è Luigi Ganna?”. Ovvero: a quel stile si può accostare il primo “re del Giro?”. Ecco quello che è saltato fuori…

CHE BIRRA È LUIGI GANNA?

Induno Olona è la culla di Luigi Ganna, ma anche la sede di una azienda – la Poretti – che tutti noi conosciamo e che come Ganna ha segnato la storia del proprio settore: l’uno il ciclismo, l’altro la birra. Due mie passioni che ho voluto portare su questo palco per fare un gioco con voi. Ovvero: scoprire “che birra è Luigi Ganna”, accostando le sue caratteristiche e le sue qualità a quelle dei diversi stili in cui si suddividono le birre.
Roba da matti? Magari sì, ma sentite cosa vi devo raccontare.
Anzitutto l’idea parte dall’accostamento indunese tra Poretti e Ganna e da un assunto che si trova nella biografia scritta da Stefania Bardelli (autrice del libro “40,405” e organizzatrice della serata ndr):  “A Ganna piaceva bere bene e anche in corsa, sull’ammiraglia, nella cassetta per gli attrezzi non mancava mai una bottiglia di champagne”. Oddio: mi permetto di dubitare che lo champagne a fine tappa, senza un frigorifero, sarebbe stata una buona bevuta ma andiamo oltre.
Vi confesso che potremmo concludere subito ogni discorso accostando a Ganna, o almeno alla sua frase più famosa – «Me brüsa el cü» – scegliendo una birra al peperoncino! Ne esistono… ma il gioco sarebbe stato troppo semplice e breve.

Allora: per trovare la birra giusta ho pensato che – correndo su strade fangose e sterrate, io il Ganna me lo figuro sempre impolverato, con la pelle resa scura sia dallo sporco sollevato sulla strada, sia dal sole cocente. Quindi non lo accosterei a una birra chiara: inizierei invece a pensare a uno stile dal colore scuro o quantomeno ambrato, o ramato…
E poi: Ganna aveva una grande resistenza che gli permetteva di gareggiare su distanze lunghissime, addirittura sul termine temporale dell’ora con costanza, caparbietà. Un grande passista, per dirla in gergo. Al contrario non era veloce, non amava le volate anche se poi qualche gara l’ha vinta anche in questo modo. Per cui una birra da “bere a secchiate”, troppo beverina, non è adatta: lo accosterei piuttosto a una birra dotata di un buon corpo, una di quelle che lasciano in bocca un sapore persistente, caldo, perfino granitico come la sua pedalata per il record dell’ora italiano colto nel 1907.

Un altro aggettivo è maestoso, perché se è vero che la fatica piegava più di oggi i corridori di allora (tra chilometraggi tremendi, strade sterrate e bici pesanti), è altrettanto vero che ai bambini che vedevano passare gli atleti del Giro – nel libro di Bardelli leggiamo di “Carlin” che poi fu direttore di Tuttosport – questi parevano dei cavalieri medievali. E la maestosità in un bicchiere la si vede anche dal cappello di schiuma che essa presenta. Quindi la nostra birra dovrà avere una schiuma abbastanza consistente, di quelle che proteggono il liquido sottostante.

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Infine, Ganna era uno “vero”, onesto, serio come si è visto anche dopo il ritiro quando ha condotto una signora azienda e comandato dall’ammiraglia una squadra vincente. Non era uno troppo alla moda: piuttosto un signore d’altri tempi, dal portamento elegante. E quando parliamo di birre, per fare un paragone, ci dobbiamo rivolgere a uno stile antico,
quasi istituzionale. Non certo a un esperimento, a una birra effimera come se ne vedono tante, prodotte e bevute per due o tre anni e poi cadute nel dimenticatoio.

Bene: uniamo ora queste informazioni: ambrata/ramata. Dotata di un buon cappello di schiuma. Con un corpo robusto, persistente, al limite con un minimo di frizzantezza ma non troppa. E antica, sicura, confortevole.

Ecco: secondo me LUIGI GANNA È UNA DOPPELBOCK e questo torna ad accomunarlo (su per giù) con il nostro amico Angelo Poretti, la cui birra oggi più famosa è la bock. Di cui la doppelbock è un una parente stretta: è quella birra che in Germania veniva utilizzata dai monaci in tempi di digiuno, è piuttosto alcolica – più della bock – ma ha in sé tutte quelle caratteristiche che, trasportate nel mondo umano, riconosciamo a Luigi Ganna.

Pensateci, pensate a lui, quando berrete una doppelbock, e sappiatemi dire se ci ho azzeccato. Da parte mia, sottoporrò l’idea a qualche amico birraio, e chissà se al prossimo Binda Cycling Festival brinderemo con una doppelbock chiamata – per esempio – “Luison”!
Grazie per l’attenzione, ed Ein Prosit per Luigi Ganna, campione senza fine.

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