Con le celebrazioni del Mercoledì delle Ceneri, in tutto il mondo cattolico (escluse le zone a rito ambrosiano dove il carnevale dura qualche giorno in più, sino al Sabato Grasso) è iniziato il periodo più intenso dal punto di vista religioso, la Quaresima, che durerà sino al Giovedì Santo – giorno in cui inizia il Triduo che porta, infine, alla Pasqua di Resurrezione.
Un breve ripasso di catechismo non casuale, ma che ha un riflesso importante a livello brassicolo come ci spiega Simone Cantoni, apprezzato giornalista, scrittore (QUI uno dei suoi libri), assaggiatore, divulgatore e giudice birrario di origini pisane con il quale facciamo questo piccolo tuffo nella storia e nella cultura. Simone ci spiegherà perché, talvolta, la birra viene indicata con il curioso termine di “pane liquido”. (NB: ci perdonino gli appassionati che già conoscono la questione. L’articolo però è destinato anche al più ampio pubblico dei lettori di Varesenews)
«Per capire quale sia il rapporto tra la Quaresima e le birre – esordisce Cantoni – bisogna innanzitutto citare un antico motto religioso, liquida non frangunt ieiunium, e cioé “i liquidi non infrangono le regole relative al digiuno penitenziale. Per questo motivo, quindi, nei monasteri il consumo di birra e di altre bevande era ammesso come sostentamento alimentare in quei periodi in cui i monaci dovevano osservare l’astinenza dal cibo».
E A MONACO NACQUE LA DOPPELBOCK
Proprio questa circostanza è alla base della nascita di alcuni stili birrari ancora oggi noti e apprezzati, seppure con le dovute differenze (tecnologiche ma non solo) tra le birre di allora e quelle attuali. «Il caso più famoso riguarda la doppelbock, tipologia che nacque in Germania proprio per i motivi di cui sopra. Nel convento di Neudeck ob der Au, a Monaco di Baviera, i frati appartenenti all’ordine dei Minimi fondato da San Francesco da Paola (e per questo detti Paolani o Paolotti) che producevano birra dal Seicento iniziarono a aumentare il grado alcolico delle loro bock proprio in vista dell’arrivo della Quaresima. La cronaca a questo punto si mescola con la leggenda, però si è soliti ricordare che per avere l’autorizzazione a bere le birre nei periodi di digiuno, i monaci inviarono due botti nientemeno che al Papa. La birra però, evidentemente, patì quel lungo viaggio e arrivò in Vaticano piuttosto… malconcia, ma proprio per questo motivo il Papa – o più probabilmente un suo assaggiatore ufficiale – marchiò quella bevuta come “penitenziale”. E così il pontefice concesse ai monaci bavaresi di utilizzare la doppelbock sulle loro tavole. A Monaco dunque, per festeggiare, quella birra venne consacrata a Cristo Salvatore e venne chiamata, appunto, Salvator, un nome che si utilizza ancora oggi per la doppelbock prodotta e imbottigliata dalla… Paulaner. Un marchio che deriva appunto dai frati paolani e che venne poi rilevato da imprenditori laici (fa parte delle “sei sorelle” presenti all’interno della Oktoberfest), i quali fecero in modo che il termine Salvator diventasse esclusivo per la loro azienda».
TRIPEL E DUBBEL PER I MONACI DEL BELGIO
Percorsi simili si ebbero in Belgio «e probabilmente – prosegue Cantoni – anche nelle comunità religiose sparse in giro per l’Europa. In Belgio comunque divenne consuetudine produrre tre tipologie di birra all’interno dei monasteri: la prima melior o tripel, la secunda o dubbel e la tertia o enkel. Queste ultime erano realizzate per la refezione ordinaria, mentre le prime due, più alcoliche ma anche adatte a essere conservate per tempi più lunghi, cominciarono a essere stoccate e servite o in occasioni particolari – come per esempio una visita di un alto prelato o comunque di ospiti prestigiosi – oppure durante i periodi di astensione dal cibo da parte dei monaci. I quali, bevendo birre più sostanziose, potevano nutrirsi anche senza alimenti solidi». Pane liquido, per l’appunto.
Va detto, ricorda ancora Cantoni, che le tripel e le dubbel di cui stiamo parlando erano differenti da quelle che beviamo quest’oggi: «I canoni stilistici che conosciamo ora sono stati definiti all’incirca dagli anni Trenta del secolo scorso, quando Westmalle (uno degli storici produttori trappisti ndr) tracciò le linee guida di questi stili».
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