(franz) Secondo appuntamento di questa “collana” autobiografica in dieci puntate di Alessandro Cappelletti. Dopo l’Agripub di Gallarate, è ora di fare tappa a Praga.

Episodio 2 di 10 – Flekovský Tmavy Ležák 13°, Praha

Era il 1994, ultimo anno al Liceo, dovevamo scegliere la meta di destinazione della gita di fine anno. Tra le candidate in lizza: Parigi, Amsterdam e Praga. Quale meta avrebbero potuto mai scegliere un branco di diciannovenni con gli ormoni fuori controllo? Ovviamente Praga!
Io e alcuni compagni di classe facemmo pressioni lobbistiche che neanche al senato americano hanno mai visto, e il motivo era molto semplice: l’11 marzo, il secondo giorno della gita, c’erano i Nirvana in città! Sfortunatamente il concerto non si tenne a causa dell’overdose di champagne e Roipnol che spedì Kurt Cobain all’ospedale Umberto I di Roma una settimana prima dell’evento. Ormai, però, la meta era stabilita e indietro non si poteva tornare.

La facciata esterna di U Fleku – foto da Praga.org

Ma come si suol dire in queste situazioni: il bere trionferà sempre sul male ed è così che mi è capitata l’occasione di approcciare la mia prima, vera birra artigianale che abbia mai bevuto, la U Fleku. Inutile cercare qualche bottiglia su internet, la U Fleku si trova solo lì, a Praga, spillata esclusivamente nell’omonima birreria, uno splendido gioiello architettonico di stile gotico mitteleuropeo che risale al 1499, sette anni dopo la scoperta dell’America. L’anno in cui Michelangelo terminava di scolpire la Pietà e nasceva la vongola Ming, l’animale più longevo del mondo, ritrovata ormai defunta sulle coste islandesi nel 2006. La Flekovský Tmavy Ležák 13°, per gli amici U Fleku, è l’unica birra presente nella lista del locale da 520 anni.

E’ una lager scura di poco più di 4 gradi alcolici, non pastorizzata, non filtrata, prodotta all’interno dell’edificio ancora oggi con acqua, luppolo, lievito e quattro malti diversi. Più artigianale di così, non è possibile, eppure all’epoca ne rimasi un po’ sconcertato per via di quel color “brodaglia militare” e mi chiesi che cosa diavolo intendessero i boemi per “birra”!

«Ma tu la chiami birra? Non ha le bollicine, è torbida, sei proprio sicuro?» Quanta ignoranza, beata gioventù…

Ben McFarland la inserisce tra le 1000 migliori birre del mondo per i suoi “sentori di liquirizia, caffè e cioccolato amaro, nonché la presenza pepata e piccante del luppolo”. La mia cultura birraria del 1994 era meno di zero, sfortunatamente non ricordo le sfumature descritte dal simpatico Ben, ricordo solo che nonostante quel colore poco piacevole era proprio gradevole. La birra scorreva piacevolmente, le tavolate lunghe favorivano l’euforia e l’integrazione fra turisti, una pinta locale (0,40 cl) costava un marco (che veniva cambiato a circa 1000 lire) e quella sera ne spesi una dozzina…
Al risveglio del giorno dopo, le mie condizioni non erano certo migliori di quelle di Gregor Samsa (cfr: “La Metamorfosi” di Franz Kafka, di cui si può visitare la minuscola casa-museo nel quartiere di Mala Strana), ma a vent’anni, ciò che non ti annega, ti fortifica.

La Repubblica Ceca è entrata a far parte dell’Unione Europea nel 2004 senza, però, aver mai adottato l’euro. Utilizza ancora oggi, infatti, la corona ceca che vale 0,03€, dato aggiornato a giugno 2020. Ciò significa che i 69 Kč del prezzo di listino sono pari a 2,59€ del cambio attuale. Non è così conveniente come allora, ma è sempre un prezzo popolare e tanto, comunque, oggi mi fermerei alla terza media, giusto per completare il ciclo di studi obbligatorio.

  1. L’Agripub di Gallarate

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