BurocracyNella mia recente visita al Brewfist di Codogno non ho perso l’occasione di acquistare una collezione completa delle “birre del pugno”, visto che ahinoi a Varese e dintorni certe prelibatezze continuano a essere introvabili.  Non ho ancora stappato tutti i tipi di birre che ho gelosamente deposto in cantina, ma per la rubrica delle recensioni – Oggimitrattobene – ho deciso di parlare della Burocracy, poiché è anche quella che ho bevuto nello stabilimento lodigiano e che fin dal primo sorso mi ha colpito in positivo.

 Anzitutto vale la pena spendere una parola sul nome: la Burocracy si chiama così “in onore” (o meglio, per denunciare) le difficoltà amministrative incontrate dai ragazzi di Brewfist ai tempi dell’apertura della loro azienda, tre anni fa. Difficoltà che non sono certo diminuite nel frattempo e, anzi, mostrano nuovi tentacoli ogni qual volta si prova a costruire qualche nuova iniziativa. Una condizione che ovviamente non è limitata a Codogno ma che accomuna tante esperienze di questo tipo sparse per l’Italia (e non solo nel campo della birra).
Versata nell’apposito bicchiere Brewfist, la Burocracy si presenta con una schiuma rigogliosa, color panna, piuttosto persistente mentre il colore è un ambrato chiaro.

Al naso la Burocracy mette in evidenza i suoi luppoli – la ricetta ne prevede 5, tra cui amarillo e cascade – che regalano un profumo erbaceo e un sentore di agrumi. All’assaggio si comincia con il malto e con un sentore di biscotto (rimane in sottofondo anche nel medio termine), poi entra in gioco un amaro netto, tagliente, erbaceo che diminuisce con il passare il tempo ma resta comunque in bocca, permettendone la pulizia. Secondo me si possono avvertire anche sentori di liquirizia. La Burocracy è birra piuttosto beverina ma non priva di corpo; poco frizzante, è anche caratterizzata da un “ritorno” resinoso e balsamico al momento delle digestione.
Una birra di medio tenore alcoolico (6,0%) che è un giusto compromesso tra la Spaceman – la IPA di punta di Brewfist – prodotti meno amari e forse più commerciali. A me, ripeto, è piaciuta parecchio, chi non ama l’amaro ha preferito virare su una più tranquilla “24K” (golden ale).

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