di Roberto Morandi

In Croazia non ci sono solo più solo Karlovacko e Ozujsko: anche i “vicini di casa” dall’altra parte dell’Adriatico hanno visto negli ultimi anni fiorire diversi birrifici artigianali, che ormai hanno alle spalle in alcuni casi una storia consolidata, quasi decennale come si legge in QUESTO articolo su BalcaniCaucaso.  Accanto ai diversi birrifici craft fioriti intorno alla capitale Zagabria, anche l’Istria – la penisola più vicina all’Italia – offre un bel panorama di artigianali, che hanno diversificato l’offerta affiancandosi alle industriali e soprattutto alla grande offerta di vini istriani a partire dalla apprezzatissima Malvasia.

A dispetto di una storia novecentesca complicata e dolorosa, l’Istria oggi offre molta varietà di esperienze, non più solo al mare come nell’epoca jugoslava o vent’anni fa, ma anche nell’interno, tra colline, boschi, vigneti e i campi di terra rossa. All’animato e colorato circolo italiano nel centro marittimo di Rovinj/Rovigno, dotato di una ottima scelta di marchi, il simpatico gestore mi ha subito introdotto alla produzione della Kampanjola, marchio molto giovane, nato nel 2018. Producono birre non pastorizzate in tre varianti: Organic Ale, Blonde e Porter.
NB: non ho fotografato tutte le birre bevute, e le immagini non sono state scattate con canoni da beer hunter

L’insegna della Kampanjola

Provate le tre varianti, sono andato anche ad acquistare nella loro sede a Svetvinčenat/Sanvincenti, un paese dell’interno (ma non lontano dalla zona turistica di Porec/Parenzo e Rovinj/Rovigno) noto per la sua piazza che sembra un “campo” di Venezia e per il suo castello con grande “piazza” erbosa antistante. La sede della Kampanjola Eco-Beer riflette davvero il suo carattere di birra rurale, in una semplice corte chiusa da muretti a secco, tra il paese e i campi intorno: coltivano direttamente orzo per le loro produzioni e si alternano tra lavoro nei campi e stand itineranti nelle feste e festival che animano località costiere e paesini dell’interno.

Viene invece prodotta a Porec/Parenzo la Bura Brew, che propone una mezza dozzina di birre. Le principali sono la Optimist Golding Ale, la Redsand Amber Ale e soprattutto la Tornado, una IPA “reinterpretata” come Istrian Pale Ale (ho provato solo quest’ultima, molto agrumata).

La birra in cui ci si imbatte più facilmente nella penisola ha un nome che suona molto italiano: si tratta della San Servolo, prodotta a Buje (Buie nella nostra lingua), paese noto come la “sentinella dell’Istria” per la sua posizione elevata, alle spalle della zona di mare di Umag/Umago e Novigrad/Villanova.  Si trova di frequente come lager, si può dire anche che sia la proposta craft standard dei ristoranti (ovviamente non sempre attrezzati con artigianali). Nato nel 2013, il birrificio ha dato poi origine anche a un ristorante steak house e a un resort: una trasformazione verso grandi numeri che ha fatto storcere il naso a qualche barista “purista” con cui ho parlato.

La IPA di Labona servita nel bicchiere marchiato dal birrificio

Il nome della San Servolo è significativo: Buje è uno dei centri istriani dove è più alta la presenza di cittadini che si dichiarano di nazionalità (vale a dire di origine) italiana, circa un quarto del totale. Piccola osservazione a margine: se tra il 1945 e 1954 molti italiani – soprattutto sulla costa – hanno lasciato l’Istria per l’arrivo del regime di Tito e per le rese dei conti delle foibe, molti altri italiani sono rimasti all’interno dell’allora Jugoslavia e oggi la presenza di cittadini di origine italiana è ancora molto diffusa, molto più di quanto sia conosciuto in Italia. Oggi il senso di appartenenza ad una realtà etnicamente mista (con persone di origine croata e italiana, ma anche istro-rumeni e montenegrini) è un po’ usato come brand turistico ma riflette anche una dimensione sentita (per esempio: gli istriani dal 1991 votano massicciamente il partito autonomista). Allo sguardo del croato medio – ma anche del turista serbo o del bosniaco – in Istria si viene anche ad assaporare questa atmosfera ibrida, anche nei sapori, un po’ come da noi avviene in Trentino, in Friuli o a Trieste, dove il gusto italiano si incontra con canederli, strudel, presnitz.

Anche nelle produzione craft questo elemento torna proprio nei nomi: la già citata San Servolo, ma anche la “Terra Magica” di Bura Brew. A Pola (dove ho provato una Red Ale) il barista racconta con orgoglio l’origine del nome della SuXo, “su e giù” in istroveneto, il dialetto – di non facilissima comprensione – che si parlava da queste parti più dell’italiano. E ancora la birra Labona mette insieme i due nomi – italiano e slavo – di Labin/Albona, sulla costa Est della penisola.

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